mercoledì 19 marzo 2014

A’Nabaany. La vida después de la muerte.

LA VITA DOPO LA MORTE PER LUCIO SANTIAGO
Intervista di Costanza Blaskovic, traduzione di Guia Placeo.

14 marzo 2014 - Inaugurazione della mostra personale di Lucio Santiago dal titolo A’Nabaany al Museo d’Arte Moderna Ugo Carà di Muggia (TS), curata da Maria Campitelli e Manolo Cocho.

Molti i visitatori che venerdì scorso si sono recati al museo d’arte moderna di Muggia per assistere all’inaugurazione della mostra di questo giovane artista messicano. In esposizione fino al 6 aprile 2014, la mostra A’Nabaany ci offre una serie di opere nate dalla riflessione dell’artista Lucio Santiago sull’eterno binomio vita/morte, tematica molto forte nella cultura messicana e argomento molto sentito dall’autore per via delle sue recenti vicende personali. Negli ultimi sette mesi, infatti, Lucio Santiago ha perso il padre, l’artista Alejandro Santiago, e ha avuto la notizia dell’imminente nascita di suo figlio. Questi avvenimenti l’hanno spinto a indagare sulle connessioni eterne e quotidiane tra vita e morte, arrivando alla conclusione che queste due forze opposte sono, al contempo, le due facce della medesima medaglia e che, inevitabilmente e ciclicamente, l’una porta all’altra.
Il titolo della mostra, la parola dell’antica lingua Zapoteca A’Nabaany che letteralmente significa “vita”, così come tutte le opere di questa esposizione, legano l’artista non solo alla sua infanzia e alle sue esperienze di vita ma anche alla cultura e alla tradizione del suo Paese. 


Da bambino, Lucio Santiago sognava spesso un cane nero che lo rincorreva spaventandolo e suo padre lo rassicurava spiegandogli che quell’animale era A’Nabaany e che gli avrebbe portato fortuna. Il cane, infatti, è una delle figure che più ricorre nelle composizioni di questa mostra: esso rappresenta, al contempo, la vita e la morte come concetti indissolubili. In queste composizioni, il cane è spesso realizzato con della carta spessa, sagomata al laser; Lucio Santiago mi ha spiegato che nel momento in cui ritaglia queste sagome ottiene sempre due facce, un positivo e un negativo. Questo dato riflette alla perfezione uno dei concetti che lui vuole evidenziare, cioè il fatto che l’Universo sia equilibrato da binomi di opposti, come bianco/nero, tristezza/allegria, vuoto/pieno, vita/morte.


La prima installazione che accoglie il visitatore all’entrata, sulla destra, mostra l’elaborazione di questo concetto fondamentale. Sopra un semplicissimo basamento bianco, vi è la sagoma di un cane legata tramite cinque fili di lana rossa ad altrettante sagome canine aderenti alla parete posteriore (foto a destra)

Questa composizione, come tutte le altre, è stata realizzata di proposito per lo spazio del Museo Carà. Me ne vuoi parlare?
“Essa simbolizza la Vita (il cane sul basamento) che guarda alla Morte, identificabile con i cinque cani che sono, al contempo, i Cavalieri dell’Apocalisse. Ma può essere anche letta al contrario, data la coincidenza dei concetti di vita e morte”.  

Quando hai cominciato a fare arte? 
"Fin da piccolo, grazie a mio padre, mi sono sempre trovato immerso nel mondo artistico. Nel corso degli anni ho sperimentato nei diversi campi dell’arte, dalla pittura alla video.art, appassionandomi particolarmente al creare installazioni che, come quelle della mostra A’Nabaany, sono date dall’unione di linguaggi e tecniche diverse: filmati che si sovrappongono, proiettati su simboliche figure di carta o fil di ferro, riprese video realizzate con fotocamere dagli obiettivi dipinti, fili di lana che si espandono nello spazio creando simbolici legami tra le opere. 
Quello che mi entusiasma di più è creare sul momento le installazioni, adattandole ai diversi luoghi dove esse vengono esposte. Di solito preparo in anticipo solo parte delle opere, come, in questo caso, le proiezioni, le sagome di cani e i disegni dei teschi per l’opera Tzompantli, ma poi assemblo e dà forma al tutto all’ultimo momento, modificando sempre le composizioni e creando nuove forme per sfruttare al meglio lo spazio".

L'opera Tzompantli al Museo Carà






























L’opera Tzompantli (foto sopra) è composta da grandi pagine di carta sulle quali Santiago ha disegnato a china trentadue teschi umani; le pagine sono unite tra loro da fili di lana rossa e creano delle righe orizzontali di fogli che riecheggiano la forma degli “Tzompantli”, ovvero delle strutture tipiche della cultura mesoamericana dove anticamente si appendevano i teschi dei prigionieri di guerra o delle vittime sacrificali. Sopra a questa parete di fogli dipinti viene proiettato il video dell’elettrocardiogramma dell’artista. 

In che stato d’animo ti trovavi quando hai registrato il tuo battito?
"La registrazione avvenne nel periodo subito successivo alla morte di mio padre. La proiezione del battito è, dunque, ancora una volta, simbolo vitale e mortale".

Anche il filo di lana rossa che accomuna tutte le opere di questa esposizione ha una valenza simbolica, è il fremito della vita, sottile e fragile. Come nell’opera che mostra, attaccata al soffitto, una sagoma canina in carta bianca, legata a vari fili di lana rossa che si congiungono verso il pavimento in un grande nodo. In questo lavoro qual'è il significato specifico del filo rosso?
“E' molto semplice e intuitivo: il cane sul soffitto rappresenta la morte e il filo rosso della vita lo tiene ancorato a terra”. 

Infine, in molte delle opere che Lucio Santiago ha realizzato per la mostra A’Nabaany, è presente l’immagine del teschio che, se da un lato è una figura già molto sfruttata nella storia dell’arte, qui, assieme alle altre simbologie utilizzate, non è semplice memento mori, ma assume un messaggio ancor più profondo, legato alla consapevolezza della necessità della morte per sperimentare la vita, in un eterno circolo naturale e spirituale.




(CB)


Guia Placeo, Lucio Santiago e Costanza Blaskovic 
all'inaugurazione della mostra.

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