mercoledì 16 aprile 2014

INTERVISTA A ROBERTO DEL FRATE

di Costanza Blaskovic


Roberto del Frate
Ho avuto il piacere di intervistare il pittore veneziano Roberto del Frate che nei giorni scorsi ha inaugurato la sua ultima mostra dal titolo Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità. negli spazi dell’ITIS Asp di via Pascoli 31 a Trieste. 
L’artista mi accoglie nella sua casa triestina dove si è trasferito da qualche anno, un luogo che racchiude e trasmette il suo amore per l’arte e la sua continua ricerca del bello che, mi racconta, per lui è sempre stata una priorità.

Le tele della mostra Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità. ora esposte all’ITIS sono una selezione di opere che sintetizzano il nuovo filone di ricerca che stai affrontando, ovvero la riflessione sulla terza età. Come definiresti quest'ultima esperienza? 
“Questa è stata una buona occasione per vari motivi; intanto, l’ambiente doveva essere in qualche modo rallegrato e, poi, mi interessava l’idea di portare l’arte vicino a persone che non possono muoversi  facilmente. Inoltre, la mostra mi ha dato l’opportunità di lavorare su una tematica nuova per me ma che mi sta molto a cuore, l’età della maturità. La serie presentata è intitolata LIVE - VIVI che è un imperativo: vivi! non essere e basta.
Verde/Green (2014), acrilico e olio su tela, 60x60 
Una di queste tele ritrae un anziano con una grande farfalla colorata tatuata sul petto che sorride a fianco alla scritta ‘ROCK’N ROLL’: con quest’opera volevo creare un’immagine che esprimesse la mia convinzione che la vita debba essere vissuta degnamente a ogni età e che, anche durante la vecchiaia, si debba reagire con entusiasmo agli eventi. La vita non finisce finché tu ci sei, fisicamente ma anche mentalmente. 
In più, volevo evidenziare il confronto tra tele allegre in cui, come nel caso dell’opera Rock’n Roll, si nota chiaramente lo slancio vitale dei personaggi ritratti, e altre tele in cui si percepisce, invece, la non-reazione all’invecchiamento. Quest’ultime, infatti, sono tele più malinconiche e introspettive.
In questa riflessione, a ispirarmi è stato il tema sociale della vecchiaia che risulta, però, intrecciato al tema estetico. Infatti, anche i soggetti non allegri, le espressioni rassegnate o i sorrisi non più giovani diventano belli per il loro significato”. 

Il 5 aprile, inoltre, alla personale di Roberto del Frate presso l'ITIS di Trieste (visitabile fino al 22 maggio) è stata aggiunta un'appendice di diciasette opere, complementari alla prima esposizione ma inedite, visitabile fino al 24 aprile 2014 presso il centralissimo  Hotel Duchi Vis à Vis in piazza dello Squero Vecchio, 1 a Trieste. 
Questa seconda esposizione è intitolata Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità. Episodio 2. poiché risulta essere la naturale continuazione alle riflessioni che animano la prima esposizione.
Invito alla mostra al Hotel Duchi Vis a Vis Trieste



Prima dipingevi quasi esclusivamente paesaggi, quando è avvenuto il passaggio al ritratto e perché? Mi vuoi parlare anche di come sia cambiato il tuo modo di lavorare?
“Io ho fatto tantissimo paesaggio. Già a quattordici anni lavoravo dipingendo nell’atelier di mio padre a Venezia. Sono sempre stato circondato da colori, pennelli e commercianti d’arte e mio padre mi ha cresciuto con il gusto paesaggistico veneziano di fine ottocento - inizio novecento. 
Il soggetto esclusivo che si immortalava in quell’atelier era Venezia, città che ha di bello e di brutto la sua immagine iconica (la laguna e i cieli, i mercatini nelle calli, i palazzi settecenteschi,…). Era questo quello che i collezionisti ricercavano e volevano comprare: vedute di Venezia di piccole dimensioni.
E' così che sono stato introdotto all’arte ma, a un certo punto, questa realtà, per quanto raffinata e vivace, mi è diventata stretta. Viaggiando, in Francia soprattutto, mi sono accorto che l’arte non era solo commercio di opere ma poteva essere ben altro. Sono stato cresciuto con l’idea che si dovessero creare opere gradite al mercato e, dunque, quando mi accorsi che ciò non mi bastava più, ebbi molti screzi con mio padre.
All’inizio dipingevo moltissimi paesaggi a olio di stile impressionistico e questo implicava il lavoro en plein air e l’uso della vernice e dell’acqua ragia. Mi esprimevo con pennellate larghe, veloci e sovrapposte che, soprattutto nelle tele di grandi dimensioni, tendevano a sfaldare le superfici ma senza mai cadere nell’astratto o perdermi in tecnicismi quali il divisionismo o il puntinismo, mantenendo, dunque, coerenza nell’ambito del figurativo. 
Angelo (2013), acrilico e olio su tela, 120x120
Così, la mia pittura a un certo punto, verso i trent’anni, divenne totalmente diversa da quella di mio padre, tanto che i clienti dell’atelier rimanevano intimoriti dalle mie opere. Anche se i miei quadri, per via delle dimensioni (preferivo il grande formato) e per lo stile più impulsivo, erano più difficili da vendere ed esportare, riuscivo comunque ad avere un giro di clienti che, ovviamente, non potevano essere gli stessi di un tempo”.
“Il passaggio tra il paesaggio e il ritratto non avvenne in un momento preciso. Negli anni, iniziai a conferire sempre più importanza alle figure che abitavano i paesaggi che dipingevo e passai gradualmente al ritratto che, d’altro canto, considero esso stesso come un paesaggio, un paesaggio dell’anima. Mi sono accorto via via sempre più della bellezza della figura umana, del fascino del suo sguardo che fa trasparire il pensiero. Mi sono avvicinato alla ritrattistica circa quindici anni fa ma è da una decina d’anni che ho approfondito il discorso in maniera quasi esclusiva.
Anche nella mia produzione di ritratti è visibile un percorso: i primi sembrano creazioni del primo Novecento, piuttosto fedeli al dato reale e figurativi al cento per cento. Poi, ho cominciato a giocare con le immagini: mi piace sovrapporre la figura umana, spesso in bianco e nero, a sfondi astratti e colorati creando forti contrasti e instaurando, al contempo, una dialettica tra il figurativo e l’astratto”.

Infatti, i tuoi ritratti sono immersi in ambienti che dialogano di continuo con i tuoi soggetti, con giochi di geometrie, riflessi, accostamenti di tessuti e materiali diversi che, spesso, nelle fantasie e nei contrasti cromatici ricordano opere del periodo secessionista. Sono echi volutamente ricercati? Quanto conta l’ispirazione ad altre epoche nella tua poetica? 
Return Animal IX (2014), tecnica mista su tela, 80x80
Io credo che quando uno dipinga non pensi a niente. Di solito, non inizio un’opera pensando di ispirarmi a qualcosa o a qualcuno in particolare. Ogni tanto avviene e basta. L’arte si crea così. Certo è che, se alle spalle di un ritratto che punta alla verosimiglianza del dato reale si decide di porre uno sfondo liscio, morbido, una tinta unita verde, per esempio, si sa che ci si andrà ad accostare maggiormente al filone della ritrattistica ottocentesca; se, invece, alle spalle della figura ritratta si pone lo sfondo di una stanza arredata e resa in maniera schietta l’effetto sarà diverso e ci ricorderà certa ritrattistica della prima metà del Novecento. Ancora diverso sarà l’effetto risultante dall’accostamento con uno sfondo coloratissimo che, come prima sensazione, ci riporterà ai dipinti della pop art o alla street art. Ecco, questa è una decisione che si può prendere inizialmente, ma non è detto che poi si riesca a creare davvero quello che si voleva, perché l’opera cambia e cresce nel frattempo: tuttavia, un quadro non è mai finito finché non lo decide l’artista stesso”.

Ritrai quasi sempre persone e animali a te molto vicini. Spesso questi personaggi, pur nella naturalezza dei loro gesti, hanno un che di stravagante dato dalla posa, dall’abbigliamento o dall’espressione. Come nascono, nel concreto, i tuoi ritratti? 
Io ho bisogno di una grande intimità con il soggetto che ritraggo, perciò gran parte delle volte immortalo persone che amo. Tuttavia, a richiesta, faccio anche ritratti su commissione. Ultimamente, mi è capitato spesso di partire da figure che creo con la fantasia o che ho visto e fotografato per strada: evidentemente, questi soggetti mi hanno attratto e mi interessano per qualche insondabile ragione. 
Mi sono accorto che, talvolta, i personaggi che ho ritratto sono proiezioni di me o delle persone che amo fra molti anni. In occasione della mia ultima esposizione all’Itis, ho fatto una scoperta interessante: ho fotografato un visitatore perché era estremamente somigliante a uno dei personaggi che avevo inventato per la serie LIVE - VIVI; successivamente, e solo riguardando la fotografia, ho notato che quel signore assomigliava a mio padre. Io, a mia volta, assomiglio a mio padre e il volto che avevo dipinto risulta essere una proiezione di me negli anni futuri, ma questo l’ho capito chiaramente soltanto adesso, riflettendo su questa complessa catena di rimandi.
Le Voyageur (2013), acrilico e olio su tela, 100x100
Nelle sperimentazioni più recenti, sto spostando il ritratto da un qualcosa di molto intimo a qualche cosa di intellettualmente interessante, come è accaduto, per esempio, con la serie LIVE - VIVI. Lo stesso è successo nella genesi di Return Animal: da moltissimo sono vegano e animalista e questa serie parte, appunto, da un tema che mi sta molto a cuore, ovvero il necessario ritorno alla natura e all’animalità da parte dell’uomo.
Ma, parlando in termini più ampi, le opere che dipingo hanno uno stretto rapporto con me, mi riguardano nel profondo. Inoltre, sono convinto che sia lo stesso anche per coloro che guardano e comprano le opere, i quali, prima o poi, ritroveranno sempre qualcosa e qualcuno che li riguarda dentro le tele.
In generale, i ritratti, gli scatti fotografici e gli schizzi nascono sempre da un gioco. Roberta è la mia musa ispiratrice e mi piace ritrarla per l’impertinenza dei suoi gesti, perché la bellezza del soggetto risiede nella sua personalità”.

Si aggiunge alla nostra conversazione anche Roberta de Jorio, sua moglie, che mi spiega: “Tutto nasce da una sinergia tra me e Roberto, dalla visione beffarda che abbiamo della vita”. 
Autoritratto XII (2014), acrilico e olio su tela, 100x100
Nello studio dell’artista ci sono moltissime opere appese alle pareti, fissate sui cavalletti o appoggiate per terra; tra di esse vi è un quadro che ritrae una figura in bianco e nero di profilo (riconoscibile come Roberta) che indossa una parrucca nera e si staglia su uno sfondo astratto. é uno di quei quadri che la coppia non vuole vendere perché per loro esprime perfettamente il momento di grande energia che si crea nell’aria e tra di loro mentre Roberto del Frate dipinge. 
“I momenti di gioco non nascono con l’idea di creare un’opera d’arte ma nascono da una reazione, generalmente una reazione ai momenti bui dell’esistenza, che noi amiamo combattere con l’ironia e con la creatività. Il quadro che ne deriva è la nostra reazione alla morte” - conclude Roberta.

Cos’hanno di diverso gli autoritratti?
“Gli autoritratti hanno di bello il fatto che in essi posso fare quello che voglio. Quando ritrai qualcun altro sei legato all’immagine reale del soggetto da immortalare, il quale giudicherà il modo in cui tu l’hai reso: dunque, non puoi essere così libero come quando ti rapporti con l’autoritratto”. 

Le tue opere appaiono come delle istantanee che fermano gli attimi del presente. Guardandole, ci troviamo immersi nella contemporaneità e lo capiamo dai soggetti ritratti e dalle tecniche utilizzate ma, allo stesso tempo, percepiamo che la narrazione del presente avviene con un occhio distante. Come definiresti il rapporto con la contemporaneità nelle tue creazioni?
En Noir (2013), acrilico e olio su tela, 120x120
“Ogni volta che si crea un’immagine, con una fotografia, con un disegno o con un dipinto, la si astrae dal tempo. Nei miei dipinti mi interessa bloccare uno stato d’animo, non altro. Ma, analizzando il processo creativo, è quasi sempre il mio stato d’animo a essere fissato sulla tela e, per questo, ogni tanto penso che ogni ritratto sia un po’ un autoritratto. 
Per me, la contemporaneità e il tempo non esistono se non nell’emozione. L’opera d’arte è capace  di trasmettere l’emozione dell’istante in eterno: altrimenti non si spiegherebbe perché un’opera del passato ci possa emozionare così tanto. Inoltre, trovo interessante il fatto che il quadro, a differenza della fotografia, ferma il momento ma al contempo può anche prendersi la libertà di modificarlo”. 

Sembra che tu sia sempre alla ricerca di bellezza, è vero?
“La ricerca del bello è la mia vita. Grazie ai miei genitori, sono sempre stato immerso nel bello e la ricerca dello stile ha sempre fatto parte di ciò che mi ha circondato, in campo artistico, nel campo della moda, dell’arredamento, della cura di sè. A mio modo di vedere, la ricerca del bello per un uomo ha come traguardo ultimo la donna, la sua bellezza e, nel mio caso, la bellezza è Roberta”. 

Roberto del Frate e la tecnologia: mi vuoi parlare dei disegni digitali e delle opere seriali? 
“La tecnologia fa parte della nostra vita, é inutile fare finta che essa non esista. Sarebbe pura pazzia combatterla. Il problema sorge quando la tecnologia non è più un mezzo (come io considero che sia), ma diventa essa stessa la forma. Sono tutti capaci di modificare una foto a proprio piacimento o di fare tantissime copie di un’opera per poi riprodurle e, con il passare del tempo, sarà sempre più facile per tutti arrivare a risultati interessanti con l’aiuto delle tecnologie. Ma è proprio per questo che l’originale varrà sempre di più. 
Quando un artista crea un’opera e poi la vende, in qualche modo la perde (nonostante la proprietà intellettuale rimanga sempre dell’artista) perché non può continuare a lavorare su di essa. Invece oggi, grazie alla facilità con cui si possono riprodurre i disegni o le tele, l’artista ha la possibilità di continuare a sperimentare sull’ispirazione iniziale.
Per questo motivo il discorso della serialità mi interessa particolarmente: nell’ultimo periodo comincio con un disegno, a mano o sulla tavola grafica digitale, e poi creo diverse soluzioni della stessa opera con tecniche, cromie ed effetti differenti. Lavoro spesso su serie tematiche perché trovo che ciò mi aiuti nella sperimentazione e che alimenti la mia creatività, anche quando vendo il prototipo originale”.

Non metti quasi mai dei titoli ai tuoi quadri. C’è un motivo? “Effettivamente non lo faccio praticamente mai. È strano, ma mi farebbe un po’ ridere inventarmi dei titoli. Mettendo un titolo alle opere mi sembrerebbe di sminuirne il valore o di intrappolarle in una definizione”. 

La velocità con cui riesci a creare e portare a termine le tue opere denota un’urgenza creativa sempre viva. é sempre stato così? 
Ritratto di ragazzo, disegno a penna digitale
su tavoletta grafica (2013)
“Sì, ho sempre dipinto molto e molto in fretta. Sono stato abituato così sin dai tempi in cui lavoravo nell’atelier di mio padre che aveva bisogno di ritmi serrati per accontentare il mercato. Tuttavia, nonostante la velocità con cui creo, sono sempre molto attento alla finitura delle opere e, per carattere, non le lascio mai incompiute.
Ho prodotto una notevole quantità di quadri anche perché io lavoro sempre e in ogni momento. E quando uno lavora così tanto percorre tanti chilometri: è anche per questo che nella mia pittura si sono susseguite varie fasi, più si crea e più si scoprono desideri e ispirazioni nuove.
Infatti, nonostante abbia la passione di comporre musica e di scrivere (ha pubblicato tre romanzi), negli ultimi anni mi sono limitato al dipingere e basta. E non è poco. La pittura richiede molto forzo psichico e sono convinto che sia meglio concentrarsi totalmente solo su una cosa per volta se la si vuole fare nel modo adeguato.
En Vert (2013), acrilico e olio su faesite, 100x100
Il prezzo dell’opera d’arte comprende non solo l’idea originale, la tela, la sua realizzazione ma anche e soprattutto la vita dell’autore. Acquistare un quadro o una scultura non vuol dire appropriarsi di un oggetto d’arredamento e basta, quell’oggetto è frutto di molto lavoro, tempo, fatica, sonno, sacrifici. L’arte è, di certo, un valore. 
Qui a Trieste quando si inaugurano delle mostre la risposta del pubblico è quasi sempre molto buona ma la gente vede le opere d’arte come oggetti da museo e non come valori che è interessante poter acquistare. Le persone qui non sono abituate a spendere per l’arte e questo fattore non è legato solo al momento storico ed economico in cui ci troviamo, perché in tante altre città d’Italia e del mondo la risposta è diversa e si può notare uno slancio molto maggiore verso il commercio di opere d’arte.
Una domanda che spesso mi pongo è: ‘come avvicinare le persone a comprare, a voler possedere l’oggetto d’arte?’ 
Non so dare una risposta definitiva a questa domanda ma penso che forse sia tutto legato alla grande carenza di cultura che si sta diffondendo nella società odierna. Non capisco come le persone non abbiano il desiderio di essere circondati da oggetti che ritengono belli e come possano, invece, preferire spendere il loro danaro in auto o televisori. Come si può vivere senza cultura, senza il bello, senza la poesia? 
Sono convinto che l’arte non sia per tutti dato che, per la sua comprensione, molte volte è necessario fare qualche sforzo. Però, a mio modo di vedere, l’artista non dovrà mai adattarsi a chi non capisce o arrendersi al crescente ottundimento della società, ma è il pubblico che deve provare a capire e a lasciarsi emozionare”.

(CB)



Roberto del Frate nel suo studio. A destra, l'opera Rock'n Roll della serie LIVE - VIVI



Esposizioni

ITIS Asp
Via G. Pascoli 31, 34129 Trieste
dal 22 marzo al 22 maggio 2014
Roberto del Frate – Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità.


Hotel Duchi Vis à Vis
Piazza dello Squero Vecchio 1, 34121 Trieste
dal 5 aprile al 24 aprile 2014
9 - 17 orario continuato (esclusi sabato, domenica e festivi)
Roberto del Frate - Ritratti di persone. Ritratti dell'umanità. Episodio 2.

A cura di Peter Iancovich per Openupartgallery informazioni +39 392 975 6467


http://www.delfratearte.com
http://www.ouagallery.com



domenica 30 marzo 2014

Si inaugura giovedì 3 aprile 2014 presso la Sala Comunale d’Arte di Piazza dell’Unità a Trieste la personale di pittura di Bruna Daus, dal titolo 2.

Tanks
Curata da Peter Iancovich per Open Up Art Gallery la mostra propone una selezione delle ultime opere pittoriche dell’artista Bruna Daus che sviluppano chiaramente il tema del due, del doppio e del simmetrico/assimetrico, del sopra/sotto e del destra/sinistra, del fronte e del retro. Il dentro e il fuori di una artista specchio di se stessa e della sua doppia anima tra vita reale e vita visionaria.

Le opere in mostra sono in bilico tra pittura e grafica, tra il bianconero e il colore, a sottolineare la sottile e imprendibile linea tra il concreto e l’astratto, senza peraltro operare una analitica divisione bensì una forte rappresentazione unitaria dei binomi che pervadono il mondo artistico e creativo di Bruna Daus.


Diario del mare
“Un singolare ed ermetico dualismo di forme nitide e sintetiche in costante oscillazione tra contrapposizione e compenetrazione, simmetria e asimmetria, pervade le opere di Bruna Daus esposte alla Sala Comunale d’Arte di Piazza dell’Unità d’Italia, in una personale il cui titolo riflette, nella concreta essenzialità di un numero, il criptico binomio sotteso a ogni opera. Dinamici giochi di incastri, accostamenti e riflessi, intessuti in una trama narrativa razionale e lucida, divengono protagonisti di rappresentazioni lineari e complesse, in cui la pittura gestuale e il segno istintivo dell’artista si stemperano in un ponderato rigore compositivo, generando un’armonica sintesi di linea, colore e ritmo. Ma questa dicotomia intrinseca alla composizione non si riscontra solo a livello contenutistico, bensì si configura anche da un punto di vista formale come una componente fondamentale della personalissima pittura astratto-concreta di Bruna Daus, in cui vige un’assoluta sinergia tra elemento figurativo e astrazione formale. L’oggettività del reale subisce una lucida metamorfosi nelle speculazioni pittoriche dell’artista, tramutandosi nelle pure linee forza di immagini sospese tra realtà e astrazione, caratterizzate da uno stile pittorico essenzialmente astratto, ma non esente da interferenze figurative.” (Guia Placeo)

Bruna Daus è nata e vive a Trieste, città mitteleuropea per eccellenza, dove hanno trovato sempre sbocco innumerevoli tendenze artistiche. La frequenza alla Scuola dell’Acquaforte Carlo Sbisà, alla Scuola di Figura del Museo Revoltella, alla Scuola Internazionale di Grafica a Venezia, all’Accademia United Nations Of The Arts di Trieste, nonché ripetuti stages di pittura a Berlino, le hanno permesso di sperimentare generi e tecniche diverse, attraverso le quali è pervenuta ad un suo personale stile pittorico.


Bruna Daus – 2
Invito web

A cura di Peter Iancovich per Open Up Art Gallery
Sala Comunale d’Arte
Piazza dell’Unità d’Italia, 4 Trieste
Inaugurazione 3 aprile ore 18
Esposizione 4 aprile – 23 aprile 2014
Orari 10.00/13.00 - 17.00/20.00
Informazioni: +39 392 975 6467


Locandina



Invito fronte
Invito retro

mercoledì 19 marzo 2014

A’Nabaany. La vida después de la muerte.

LA VITA DOPO LA MORTE PER LUCIO SANTIAGO
Intervista di Costanza Blaskovic, traduzione di Guia Placeo.

14 marzo 2014 - Inaugurazione della mostra personale di Lucio Santiago dal titolo A’Nabaany al Museo d’Arte Moderna Ugo Carà di Muggia (TS), curata da Maria Campitelli e Manolo Cocho.

Molti i visitatori che venerdì scorso si sono recati al museo d’arte moderna di Muggia per assistere all’inaugurazione della mostra di questo giovane artista messicano. In esposizione fino al 6 aprile 2014, la mostra A’Nabaany ci offre una serie di opere nate dalla riflessione dell’artista Lucio Santiago sull’eterno binomio vita/morte, tematica molto forte nella cultura messicana e argomento molto sentito dall’autore per via delle sue recenti vicende personali. Negli ultimi sette mesi, infatti, Lucio Santiago ha perso il padre, l’artista Alejandro Santiago, e ha avuto la notizia dell’imminente nascita di suo figlio. Questi avvenimenti l’hanno spinto a indagare sulle connessioni eterne e quotidiane tra vita e morte, arrivando alla conclusione che queste due forze opposte sono, al contempo, le due facce della medesima medaglia e che, inevitabilmente e ciclicamente, l’una porta all’altra.
Il titolo della mostra, la parola dell’antica lingua Zapoteca A’Nabaany che letteralmente significa “vita”, così come tutte le opere di questa esposizione, legano l’artista non solo alla sua infanzia e alle sue esperienze di vita ma anche alla cultura e alla tradizione del suo Paese. 


Da bambino, Lucio Santiago sognava spesso un cane nero che lo rincorreva spaventandolo e suo padre lo rassicurava spiegandogli che quell’animale era A’Nabaany e che gli avrebbe portato fortuna. Il cane, infatti, è una delle figure che più ricorre nelle composizioni di questa mostra: esso rappresenta, al contempo, la vita e la morte come concetti indissolubili. In queste composizioni, il cane è spesso realizzato con della carta spessa, sagomata al laser; Lucio Santiago mi ha spiegato che nel momento in cui ritaglia queste sagome ottiene sempre due facce, un positivo e un negativo. Questo dato riflette alla perfezione uno dei concetti che lui vuole evidenziare, cioè il fatto che l’Universo sia equilibrato da binomi di opposti, come bianco/nero, tristezza/allegria, vuoto/pieno, vita/morte.


La prima installazione che accoglie il visitatore all’entrata, sulla destra, mostra l’elaborazione di questo concetto fondamentale. Sopra un semplicissimo basamento bianco, vi è la sagoma di un cane legata tramite cinque fili di lana rossa ad altrettante sagome canine aderenti alla parete posteriore (foto a destra)

Questa composizione, come tutte le altre, è stata realizzata di proposito per lo spazio del Museo Carà. Me ne vuoi parlare?
“Essa simbolizza la Vita (il cane sul basamento) che guarda alla Morte, identificabile con i cinque cani che sono, al contempo, i Cavalieri dell’Apocalisse. Ma può essere anche letta al contrario, data la coincidenza dei concetti di vita e morte”.  

Quando hai cominciato a fare arte? 
"Fin da piccolo, grazie a mio padre, mi sono sempre trovato immerso nel mondo artistico. Nel corso degli anni ho sperimentato nei diversi campi dell’arte, dalla pittura alla video.art, appassionandomi particolarmente al creare installazioni che, come quelle della mostra A’Nabaany, sono date dall’unione di linguaggi e tecniche diverse: filmati che si sovrappongono, proiettati su simboliche figure di carta o fil di ferro, riprese video realizzate con fotocamere dagli obiettivi dipinti, fili di lana che si espandono nello spazio creando simbolici legami tra le opere. 
Quello che mi entusiasma di più è creare sul momento le installazioni, adattandole ai diversi luoghi dove esse vengono esposte. Di solito preparo in anticipo solo parte delle opere, come, in questo caso, le proiezioni, le sagome di cani e i disegni dei teschi per l’opera Tzompantli, ma poi assemblo e dà forma al tutto all’ultimo momento, modificando sempre le composizioni e creando nuove forme per sfruttare al meglio lo spazio".

L'opera Tzompantli al Museo Carà






























L’opera Tzompantli (foto sopra) è composta da grandi pagine di carta sulle quali Santiago ha disegnato a china trentadue teschi umani; le pagine sono unite tra loro da fili di lana rossa e creano delle righe orizzontali di fogli che riecheggiano la forma degli “Tzompantli”, ovvero delle strutture tipiche della cultura mesoamericana dove anticamente si appendevano i teschi dei prigionieri di guerra o delle vittime sacrificali. Sopra a questa parete di fogli dipinti viene proiettato il video dell’elettrocardiogramma dell’artista. 

In che stato d’animo ti trovavi quando hai registrato il tuo battito?
"La registrazione avvenne nel periodo subito successivo alla morte di mio padre. La proiezione del battito è, dunque, ancora una volta, simbolo vitale e mortale".

Anche il filo di lana rossa che accomuna tutte le opere di questa esposizione ha una valenza simbolica, è il fremito della vita, sottile e fragile. Come nell’opera che mostra, attaccata al soffitto, una sagoma canina in carta bianca, legata a vari fili di lana rossa che si congiungono verso il pavimento in un grande nodo. In questo lavoro qual'è il significato specifico del filo rosso?
“E' molto semplice e intuitivo: il cane sul soffitto rappresenta la morte e il filo rosso della vita lo tiene ancorato a terra”. 

Infine, in molte delle opere che Lucio Santiago ha realizzato per la mostra A’Nabaany, è presente l’immagine del teschio che, se da un lato è una figura già molto sfruttata nella storia dell’arte, qui, assieme alle altre simbologie utilizzate, non è semplice memento mori, ma assume un messaggio ancor più profondo, legato alla consapevolezza della necessità della morte per sperimentare la vita, in un eterno circolo naturale e spirituale.




(CB)


Guia Placeo, Lucio Santiago e Costanza Blaskovic 
all'inaugurazione della mostra.

domenica 16 marzo 2014

Comunicato stampa - Si inaugura venerdì 21 marzo presso l’ITIS Asp di via Pascoli a Trieste la mostra di pittura di Roberto del Frate, dal titolo “Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità.”


Negli spazi del piano terra dell’Itis Asp di Trieste si inaugura la mostra di pittura dell’artista Roberto del Frate, dal significativo titolo “Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità.”
L’allestimento presenta una selezione delle opere di Roberto del Frate rappresentative del nuovo corso creativo che pervade l’artista di origini veneziane. Un teoria di ritratti che si avventurano nella specificità dei singoli personaggi ritratti, tra il tratto grafico e una ispirazione cromatica pop, fino a riconciliarsi con la sua esperienza post impressionista dalle pennellate veloci e sovrapposte. Le contaminazioni espressioniste e simboliste rappresentano una ricca stratificazione che stravolge il mero ritratto di maniera dei soggetti inseriti in sfondi astratti o in scene di vita pulsante. Del Frate prosegue così la sua crescita artistica alla ricerca della sintesi tra tratto e colore combinando tecniche a olio, acrilici, matita e contaminazioni di digital art, analizzando e raccontando la sua personale visione dell’umanità.

Roberto Del Frate nasce il 31 Gennaio 1960 a Venezia. Dal padre pittore impara l’arte e l’amore per la pittura a olio, trascorrendo le sue giornate presso l’atelier situato presso il Palazzo delle Meravegie vicino all’Accademia delle belle Arti di Venezia. Risiede a lungo a Parigi dove dipinge bozzetti dal vivo in gran parte en plein air. Trascorre qualche anno anche a Bruxelles e Londra, ma nel 1990 apre il suo atelier a Venezia e partecipa a numerose mostre  nazionali e internazionali, riscuotendo ampio consenso per il suo raffinato cromatismo dalla sensibilità tonale. Date le collaborazioni con numerose gallerie veneziane che esportano i suoi quadri in tutto il mondo, specie in USA e Gran Bretagna. La sua anima freelance lo porta a lavorare per gallerie francesi e belghe e per arredatori statunitensi con opere di grandi dimensioni. Nel 2009 si innamora di Trieste e trasferisce il suo atelier nella città mitteleuropea dove dispone anche del suo show room.



ITIS Asp
Via G. Pascoli 31, 34129 Trieste
esposizione 22 marzo - 22 maggio 2014
Inaugurazione 21 marzo ore 18:00

Roberto del Frate – Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità
A cura di Peter Iancovich per Openupartgallery
informazioni +39 392 975 6467

venerdì 14 marzo 2014

12 marzo 2014 - Conclusione mostra Muse Interiori di Alessandra Spigai



Intervista di Costanza Blaskovic
nella foto: Alessandra Spigai intervistata da Costanza Blaskovic


Il 12 marzo si è conclusa la personale dell’artista Alessandra Spigai, Muse Interiori, presso la Sala Comunale d’Arte in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste, curata da Peter Iancovich per OpenUpArtGallery. 

Le sculture che sono state in mostra fino a l’altro ieri fanno parte di un progetto esposto al pubblico per la prima volta, la serie Muse Interiori, che ha come punto di partenza la ricerca e la trasposizione plastica delle sfumature dei moti dell’animo nella materia.
Non c’è da stupirsi se, durante i venti giorni nei quali le creazioni di Alessandra Spigai sono state esposte, spesso il pubblico sia tornato a osservarle più di una volta. Infatti, i volti e i corpi plasmati dall’artista possono rivelarsi differenti a ogni sguardo: la loro forma di comunicazione prevede il  lasciarsi osservare e, mediante una chimica sottile, legano l’osservatore alle ispirazioni che li hanno creati, evocando in esso emozioni e momenti interiori passati e presenti. 

Con l’occasione di questa personale, Alessandra Spigai ci ha svelato il suo modo di guardare alle sfaccettature della vita interiore dell’umano, tramite un genere di scultura pur figurativo, ma che trova parte della sua immediatezza nella forma, libera e istintiva. Le sue creazioni sono mosse da una forte espressività intrinseca, esacerbata da una polimatericità solo apparente. Le caratteristiche visive e tattili che l’artista conferisce alla materia di volta in volta fanno sì che le superfici si crepino, si rompano, si lacerino o divengano lisce, impalpabili e morbide, come se fossero composte da materiali ogni volta differenti. Invece, la base di partenza per le sculture di questa serie è in molti casi la stessa, la creta e il gesso, per lo più, ma è la vita, lo scorrere del tempo e delle emozioni sulla pelle che increspano o distendono le superfici e i momenti.

nella foto: Maria Campitelli commenta
la mostra di fronte alla scultura Àmōr
“La superficie della materia non è, però, il mio fine” - dice Alessandra Spigai che ha risposto alle mie domande con lo stesso entusiasmo e con lo stesso contagioso sorriso che ha riservato ai visitatori della sua esposizione. E continua: “La mia scultura è fortemente istintuale, perciò il mio obiettivo non è l’estetica delle creazioni. Ogni Musa qui in mostra ha una vita propria, una storia diversa ed è per questo motivo che esse appaiono diverse anche dal punto di vista estetico. Non faccio alcun disegno preparatorio né elaboro particolari ragionamenti prima di cominciare a scolpire, io lo faccio e basta”. Anche il nome della serie, Muse Interiori, è arrivato dopo, quando Alessandra Spigai si è accorta che le opere che aveva scolpito erano tutte espressioni dirette della sua interiorità. “Di solito comincio a scolpire prima di decidere o capire cosa sto creando ed è solo in seguito che scopro, all’interno della mia creazione, cosa il mio animo in quel momento voleva raccontare”. Le sculture di questa serie possono essere definite, in qualche modo, autobiografiche perché riportano tutte a dei momenti della vita dell’artista. “Vent’anni (che è una delle opere della mostra), per esempio, è stata creata in un momento in cui mi ritrovavo a stupirmi dell’energia, dell’inaspettata saggezza e, al contempo, della spensieratezza dei miei figli; ma è stato solo mentre la scolpivo che ho capito veramente a cosa si riferivano le forme che le mie mani stavano creando”.

Da come ti comporti in mezzo alle tue sculture, mentre le tocchi, le accarezzi, le abbracci, mi è parso che il tuo legame con esse sia fortissimo, questo rapporto si può definire un legame materno? “Sì, ho decisamente un rapporto materno con le mie sculture: le plasmo con l’amore della creazione. Mentre lavoro su di esse, a un certo punto, sento che sono pronte, che sono nate”. Alessandra Spigai mi racconta anche un avvenimento molto privato legato allo scolpire e alla sua maternità. La prima volta che si ritrovò ad appoggiare le mani su della creta per modellarla le affiorò un ricordo. In quell’occasione provò la stessa sensazione che ebbe quando, il giorno della nascita della sua seconda figlia, le prese la testa tra le mani e le toccò il viso, l’ossatura sotto la carne, percependone i volumi, per riconoscerla.

nella foto: visitatori davanti alla scultura Manolin
Artista eclettica, amante della sperimentazione anche in termini tecnici, Alessandra Spigai è approdata alla scultura in tempi piuttosto recenti. Precisamente, quando hai cominciato? 
“Un anno e mezzo fa. Poi, si è aperta una diga e ho creato moltissimo. La serie che è stata esposta in piazza Unità è soltanto una parte delle opere che ho realizzato in questo periodo di tempo”.
Per molti anni si era dedicata professionalmente alla grafica, alla pubblicità, all’editoria, al giornalismo e al web design. “Il mio percorso precedente alla scultura era legato alla scrittura. Ho scritto per molto tempo poesie visuali e racconti e già allora ad affascinarmi era la forma grafica delle parole. Poi mi sono avvicinata ai caratteri tipografici e alla carta fatta a mano, cercando sempre un contatto con i materiali, insomma, sperimentando sempre. Ho cominciato a raccogliere antichi caratteri tipografici in legno, ormai in disuso, e ho provato a utilizzarli all’interno di mie composizioni sfruttandoli non come supporto per la stampa, ma come oggetti decorativi autonomi. è così che ho cominciato a creare con le mani”. Poi, ha incontrato la scultura ed è stata una folgorazione.

Dato l’entusiasmo e l’impazienza che dimostra quando dice di avere l’urgenza di scolpire subito e ancora, è evidente che Alessandra Spigai sia ben decisa a continuare a indagare e sperimentare nell’ambito della scultura. Infatti, mi conferma: “Io devo continuare! è come se improvvisamente avessi capito che so volare. Prima non lo sapevo, ora lo so. Posso migliorare la tecnica, devo imparare come volare più in alto o più in basso, ma, soprattutto, ora devo capire quale sia il mio modo preferito di farlo. Certo è, che non posso più rinunciarci”. 

Le chiedo, poi, se abbia già progetti per il futuro: “Finita questa mostra dovrò occupare il mio tempo in maniera produttiva perché per restare in questo mondo devo continuare a esporre e, per farlo, dovrò creare nuove opere adatte alle occasioni che mi si presenteranno. Poiché lavoro in questo campo da poco tempo, non ho un archivio di opere create in precedenza pronte per essere esposte. Quindi, adesso, mi devo impegnare in questo senso e, siccome ho infinite possibilità di fare, proprio perché sono agli inizi, non ho che l’imbarazzo della scelta. Comunque, non vedo l’ora di creare ancora, sia opere che sono già nei piani, cioè opere che creerò in vista degli eventi futuri, sia sperimentazioni pure e libere”. 

Chiedo, infine, al curatore, Peter Iancovich, e all’artista se sono soddisfatti della mostra e della risposta del pubblico: Peter Iancovich si dichiara soddisfatto della riuscita globale della mostra, dell’affluenza e della risposta del pubblico che ha dimostrato di apprezzare non solo l’artista e il campo in cui essa sperimenta, ma anche l’allestimento, chiaro, essenziale e di facile fruizione. Tra i visitatori che in questi giorni hanno apprezzato l’esposizione ci sono stati anche vari artisti quali Ricardo Cinalli e Villi Bossi. 
Anche Alessandra Spigai si dichiara soddisfatta delle tantissime visite e degli incoraggiamenti ricevuti dal pubblico. Inoltre, afferma: “Per me questo è stato un vero e proprio debutto e averlo fatto nella piazza della mia città ha acquistato ancora più importanza. Certo, per farlo ho dovuto armarmi di coraggio poiché in precedenza non avevo avuto alcun tipo di esperienza simile e, dunque, è stata una bella sfida”.



(C. B.)

giovedì 6 marzo 2014

La dinamica eleganza delle Muse di Alessandra Spigai


Testo critico di Guia Placeo
Muse interiori | No more words

È una necessità viscerale quella che spinge Alessandra Spigai verso l’arte plastica in seguito ad un inquieto quanto eclettico iter artistico volto alla ricerca di una propria dimensione creativa, un percorso che attraverso diverse esperienze che spaziano dalla grafica al design, dalla scrittura alla fotografia, fino alle prime forme plastiche realizzate con vecchi caratteri tipografici (Type Objects), l’ha condotta, infine, alla concezione della serie di sculture Muse Interiori, esposte per la prima volta presso la Sala Comunale d’Arte di Piazza dell’Unità d’Italia a Trieste, in una personale curata da Peter Iancovich per OpenUpArtGallery. Paradossalmente in quest’artista la ricerca progressiva della tridimensionalità pone le sue radici nella bidimensionalità della parola scritta e, più nello specifico, in una particolare attrazione per la componente prettamente estetica della scrittura (la calligrafia e la tipografia), che l’ha condotta alla scoperta della tangibilità materica dei vecchi caratteri tipografici di legno che sono alla base delle sue prime opere plastiche. Ma l’epifania vera e propria ha luogo dinnanzi all’argilla, materia in cui Alessandra Spigai incontra il linguaggio più adatto a esprimere la propria inquietudine artistica, evidente nell’aspetto formale primordiale e immediato delle sue Muse Interiori. La totale libertà tecnica dell’artista è manifesta nel carattere istintivo e sperimentale della sua scultura, estraneo alla progettualità del disegno preparatorio ed espresso direttamente attraverso il materiale, nel quale Alessandra Spigai ricerca figure e volti densi di significato, atti a rappresentare il complesso prisma delle emozioni umane, con la volontà di indagare gli aspetti contraddittori dell’essere. Tale atteggiamento istintivo e naturale nei confronti della materia e il modus operandi dell’artista confluiscono nella vitalità di figure dinamiche e fluide, mutevoli e cangianti, talvolta poco definite, quasi forme in costante tramutazione, volubili quanto le emozioni di cui sono immagine e incostanti quanto l’animo umano di cui divengono rappresentazione. Se, per l’universalità delle tematiche che affrontano e per la classicità del linguaggio figurativo, tali immagini paiono protagoniste di una dimensione atemporale, al contempo è evidente il loro carattere essenzialmente contemporaneo, prorompente nel particolare connubio di colore e scultura, in cui la componente pittorica enfatizza il valore simbolico dell’opera caricandosi anch’essa di profondi significati. Protagoniste mute e inquiete di una rappresentazione dell’essere umano in tutta la sua eterogenea complessità emozionale, tali opere divengono riflesso di sentimenti diversi e contrastanti, che sfociano in atteggiamenti di violenta passione (Amor, Warrior), sottile disperazione (Invidia, No More Words) o profonda contemplazione (Grace, Want Chance). Uno dei temi che Alessandra Spigai predilige è l’infanzia, simbolo amaro di quella vitalità e di quell’innocenza che gradualmente abbandonano l’essere umano nel suo travagliato viaggio verso la maturità e che paiono sfuggire spesso anche ai fanciulli che essa rappresenta (Innocenza Perduta), ma se da un lato tali immagini evocano un certo malinconico pessimismo, la dinamicità energica e la varietà cromatica di Vent’Anni riconducono a quel senso di libertà proprio della giovinezza, ma anche della potenza creativa di ogni artista che ha saputo mantenere vivo dentro di sé il fanciullo che è stato. È un risultato notevole quello che Alessandra Spigai ha raggiunto con queste opere, dimostrando un’abilità tecnica che forse supera la sua conoscenza delle tecniche plastiche, se si considera quanto sia recente il suo accostarsi a questa forma espressiva. È il principio di un nuovo percorso artistico che non può che portare a ulteriori, sorprendenti traguardi.

(Marzo 2014)

(G.P.)

lunedì 24 febbraio 2014

Le sculture che indagano la multidimensionalità dell'essere umano

Da Bloggokin riportiamo l'intervista di Stefania Nebularina ad Alessandra Spigai.

nella foto: Alessandra Spigai e l'opera: Grace
Alessandra Spigai, artista eclettica e poliedrica, terrà la sua prima mostra della serie di sculture MUSE INTERIORI giovedì 20 Febbraio 2014 presso la Sala Comunale d’Arte in Piazza dell’Unità a Trieste. Per l’occasione ci ha onorati di una breve intervista.

Abbiamo già avuto il piacere di intervistare Alessandra qui su Bloggokin, occasione preziosa che ci permise di parlare dei suoi personali Type Objects. Oggi vi mostriamo le sue sculture, la sua arte sempre più materica, plastica e viscerale. Conoscere e parlare con Alessandra è un viaggio bellissimo verso la profondità dell’umano, di lei come artista, di noi come come fruitori, uniti insieme da quel collante che è puro impeto alla vita.

La mostra MUSE INTERIORI, curata da Peter Iancovich per OpenUpArtGallery, verrà inaugurata il prossimo 20 Febbraio 2014 alle ore 18.00 e rimarrà aperta fino al 12 Marzo 2014, presso la Sala Comunale d’Arte in Piazza dell’Unità a Trieste.

Ad accogliere il visitatore vi sarà questa serie di sculture magmatiche e intense elaborate dall’artista:
figure misteriose e dense di significato, rappresentanti dei numerosi strati emozionali che costituiscono l’essere umano, [...] personaggi che sembrano provenire da un passato classico di un tempo indefinito e giungere contemporaneamente da un ipotetico futuro visionario [...]. Sono le varie sfaccettature dell’essere, i compromessi e le vergogne, ciò che ci rende orgogliosi e ciò che rifuggiamo, parti di noi che sono uomo e donna, adulto e bambino, guerriero e custode. Sono le parti delicate e quelle intense, nascoste e conviventi di noi stessi, e il riconoscerle e celebrarle è il fine della ricerca di Alessandra Spigai.

Alessandra ci traina nel suo animo interiore, accompagnandoci contemporaneamente nel nostro, stimolando la nostra osservazione, ma sopratutto la nostra consapevolezza sul vissuto.

Anche in questa occasione si è ben offerta di rispondere a qualche nostra domanda, personalmente colgo l’occasione per ringraziarla ancora e ancora, per avermi permesso di entrare ancora più in contatto con la sua arte.

Cosa ti ha portata alla scultura? Come sei approdata ad essa e cosa vi hai trovato?

Ho un’anima inquieta. Continuamente alla ricerca di un’espressione artistica che mi consegni la pienezza del vivere il momento, pienezza che sento spesso sfuggire dalle mani, come sabbia. L’arte, in molte sue declinazioni, intesa come “creare altro al di fuori di sé”, come protesi che materializza intenzioni ed equilibrio e significato, mi dà il sollievo che cerco. Alla scultura sono arrivata si può dire per una serie di fortunate circostanze. Da una parte questa mia ricerca di nuovi mezzi espressivi (totalmente interiori e autodidatti) proseguiva spostandosi dalla scrittura, alla fotografia, alla materia, e dalla materia lignea preformata (realizzavo lavori utilizzando caratteri tipografici di legno in disuso). Dall’altra la nuova amicizia con uno scultore triestino, (Alessandro Cok) le ore di parole e visioni artistiche, il confronto con la scultura e con me stessa di fronte alla scultura, mi ha attratta magneticamente alla forma plastica, all’azione del creare forme nello spazio. Come spesso accade quando nasce un amore, in breve tempo un cortocircuito sensoriale mi ha portata a mettere la mani per la prima volta nell’argilla. Da lì, non tutto è stato facile, anzi, ma è stato naturale, primordiale, un traguardo che diventava partenza. Ho compreso che le sacche di varia arte nelle quali mi ero immersa non erano esperimenti fini a sé stessi, non strade sbagliate, ma affluenti dello stesso fiume, che insieme portavano al mare. E’ vivendo nella scultura una multidimensionalità spaziale, che ho compreso la mia multidimensionalità artistica e che ho dato respiro ad una mia profonda multidimensionalità dell’essere.

Chi sono queste Muse?

Sono Interiori, le mie Muse. Completamente differenti dalle figure delle Muse classiche ispiratrici delle arti, le mie Muse Interiori sono archetipi multidimensionali dell’essere umano, sfaccettature di ognuno di noi che attraverso il tempo, lo spazio, il pubblico, il privato, sono parte di noi e ci costituiscono. Ogni Musa Interiore rappresenta proprietà caratteriali (come “Invidia” o “Ventanni”), o momenti e sensazioni (ad esempio “Grace”), emozioni profonde e private (ad esempio “Warrior” o “Nomorewords”), e apparizioni sociali (come “Lady Harlot”).

Le tue sculture irrompono nella realtà, le percepisco come una profonda necessità, che si è manifestata all’improvviso, è urgente ed esplosiva, irrefrenabile. Partendo da questa mia percezione, vorrei chiederti a tal proposito come è stato per te lavorare su di loro, cosa hai scoperto, o hai imparato, creandole, cosa, insomma, ti hanno mostrato?

Le mie sculture è esattamente questo che fanno in me, si manifestano urgentemente attraverso me e la profonda necessità che sento. Ogni ragionamento calcolato, ogni studio del mercato, ogni analisi critica, o richiesta da parte di chi le guarda, non sono solo inutili per farmi lavorare al meglio, ma dannose. Mi influenzano come un ronzio di sottofondo che mi distrae dal mio percorso. A me piace pensare che ogni aspetto intimo dell’essere umano abbia una dimensione naturale, senza tempo e misteriosa, che a sua volta è narrazione di una storia, più o meno intrecciata agli altri aspetti. Immaginando la scultura in questo modo visionario, riesco a spaziare, all’interno di figurazioni più o meno immediate e a dare forma ad alcune delle sfaccettature del mio universo, che sono le mie emozioni, prepotenti o impalpabili, o le più difficili da affrontare. Per me, le emozioni, così come i momenti temporali, le difficoltà, le forme, i suoni, le materie, le intenzioni, i colori, sono singoli mattoni dell’Universo di diversa materia e tempo, è un Unico e un Insieme. Le mie sculture nascono in un linguaggio espressivo figurativo, e sono attori privati e segreti della medesima piece, l’Uomo e le sue inquietudini, le sue meraviglie e banalità. E’ attraverso loro, attraverso il sottolineare significati e sfumature dell’Essere, per farle emergere ed essere riconosciute, che imparo ad accettare ogni significato e sfumatura di ciò che mi sta intorno, e dentro.

Intervista ad Alessandra Spigai di Stefania Nebularina, vicedirettore, webmaster e blogger di Bloggokin , appassionata di fumetti, grafica e arte, cerca la libera espressione in ogni sua forma e manifestazione. 

(P.I.)