domenica 30 marzo 2014

Si inaugura giovedì 3 aprile 2014 presso la Sala Comunale d’Arte di Piazza dell’Unità a Trieste la personale di pittura di Bruna Daus, dal titolo 2.

Tanks
Curata da Peter Iancovich per Open Up Art Gallery la mostra propone una selezione delle ultime opere pittoriche dell’artista Bruna Daus che sviluppano chiaramente il tema del due, del doppio e del simmetrico/assimetrico, del sopra/sotto e del destra/sinistra, del fronte e del retro. Il dentro e il fuori di una artista specchio di se stessa e della sua doppia anima tra vita reale e vita visionaria.

Le opere in mostra sono in bilico tra pittura e grafica, tra il bianconero e il colore, a sottolineare la sottile e imprendibile linea tra il concreto e l’astratto, senza peraltro operare una analitica divisione bensì una forte rappresentazione unitaria dei binomi che pervadono il mondo artistico e creativo di Bruna Daus.


Diario del mare
“Un singolare ed ermetico dualismo di forme nitide e sintetiche in costante oscillazione tra contrapposizione e compenetrazione, simmetria e asimmetria, pervade le opere di Bruna Daus esposte alla Sala Comunale d’Arte di Piazza dell’Unità d’Italia, in una personale il cui titolo riflette, nella concreta essenzialità di un numero, il criptico binomio sotteso a ogni opera. Dinamici giochi di incastri, accostamenti e riflessi, intessuti in una trama narrativa razionale e lucida, divengono protagonisti di rappresentazioni lineari e complesse, in cui la pittura gestuale e il segno istintivo dell’artista si stemperano in un ponderato rigore compositivo, generando un’armonica sintesi di linea, colore e ritmo. Ma questa dicotomia intrinseca alla composizione non si riscontra solo a livello contenutistico, bensì si configura anche da un punto di vista formale come una componente fondamentale della personalissima pittura astratto-concreta di Bruna Daus, in cui vige un’assoluta sinergia tra elemento figurativo e astrazione formale. L’oggettività del reale subisce una lucida metamorfosi nelle speculazioni pittoriche dell’artista, tramutandosi nelle pure linee forza di immagini sospese tra realtà e astrazione, caratterizzate da uno stile pittorico essenzialmente astratto, ma non esente da interferenze figurative.” (Guia Placeo)

Bruna Daus è nata e vive a Trieste, città mitteleuropea per eccellenza, dove hanno trovato sempre sbocco innumerevoli tendenze artistiche. La frequenza alla Scuola dell’Acquaforte Carlo Sbisà, alla Scuola di Figura del Museo Revoltella, alla Scuola Internazionale di Grafica a Venezia, all’Accademia United Nations Of The Arts di Trieste, nonché ripetuti stages di pittura a Berlino, le hanno permesso di sperimentare generi e tecniche diverse, attraverso le quali è pervenuta ad un suo personale stile pittorico.


Bruna Daus – 2
Invito web

A cura di Peter Iancovich per Open Up Art Gallery
Sala Comunale d’Arte
Piazza dell’Unità d’Italia, 4 Trieste
Inaugurazione 3 aprile ore 18
Esposizione 4 aprile – 23 aprile 2014
Orari 10.00/13.00 - 17.00/20.00
Informazioni: +39 392 975 6467


Locandina



Invito fronte
Invito retro

mercoledì 19 marzo 2014

A’Nabaany. La vida después de la muerte.

LA VITA DOPO LA MORTE PER LUCIO SANTIAGO
Intervista di Costanza Blaskovic, traduzione di Guia Placeo.

14 marzo 2014 - Inaugurazione della mostra personale di Lucio Santiago dal titolo A’Nabaany al Museo d’Arte Moderna Ugo Carà di Muggia (TS), curata da Maria Campitelli e Manolo Cocho.

Molti i visitatori che venerdì scorso si sono recati al museo d’arte moderna di Muggia per assistere all’inaugurazione della mostra di questo giovane artista messicano. In esposizione fino al 6 aprile 2014, la mostra A’Nabaany ci offre una serie di opere nate dalla riflessione dell’artista Lucio Santiago sull’eterno binomio vita/morte, tematica molto forte nella cultura messicana e argomento molto sentito dall’autore per via delle sue recenti vicende personali. Negli ultimi sette mesi, infatti, Lucio Santiago ha perso il padre, l’artista Alejandro Santiago, e ha avuto la notizia dell’imminente nascita di suo figlio. Questi avvenimenti l’hanno spinto a indagare sulle connessioni eterne e quotidiane tra vita e morte, arrivando alla conclusione che queste due forze opposte sono, al contempo, le due facce della medesima medaglia e che, inevitabilmente e ciclicamente, l’una porta all’altra.
Il titolo della mostra, la parola dell’antica lingua Zapoteca A’Nabaany che letteralmente significa “vita”, così come tutte le opere di questa esposizione, legano l’artista non solo alla sua infanzia e alle sue esperienze di vita ma anche alla cultura e alla tradizione del suo Paese. 


Da bambino, Lucio Santiago sognava spesso un cane nero che lo rincorreva spaventandolo e suo padre lo rassicurava spiegandogli che quell’animale era A’Nabaany e che gli avrebbe portato fortuna. Il cane, infatti, è una delle figure che più ricorre nelle composizioni di questa mostra: esso rappresenta, al contempo, la vita e la morte come concetti indissolubili. In queste composizioni, il cane è spesso realizzato con della carta spessa, sagomata al laser; Lucio Santiago mi ha spiegato che nel momento in cui ritaglia queste sagome ottiene sempre due facce, un positivo e un negativo. Questo dato riflette alla perfezione uno dei concetti che lui vuole evidenziare, cioè il fatto che l’Universo sia equilibrato da binomi di opposti, come bianco/nero, tristezza/allegria, vuoto/pieno, vita/morte.


La prima installazione che accoglie il visitatore all’entrata, sulla destra, mostra l’elaborazione di questo concetto fondamentale. Sopra un semplicissimo basamento bianco, vi è la sagoma di un cane legata tramite cinque fili di lana rossa ad altrettante sagome canine aderenti alla parete posteriore (foto a destra)

Questa composizione, come tutte le altre, è stata realizzata di proposito per lo spazio del Museo Carà. Me ne vuoi parlare?
“Essa simbolizza la Vita (il cane sul basamento) che guarda alla Morte, identificabile con i cinque cani che sono, al contempo, i Cavalieri dell’Apocalisse. Ma può essere anche letta al contrario, data la coincidenza dei concetti di vita e morte”.  

Quando hai cominciato a fare arte? 
"Fin da piccolo, grazie a mio padre, mi sono sempre trovato immerso nel mondo artistico. Nel corso degli anni ho sperimentato nei diversi campi dell’arte, dalla pittura alla video.art, appassionandomi particolarmente al creare installazioni che, come quelle della mostra A’Nabaany, sono date dall’unione di linguaggi e tecniche diverse: filmati che si sovrappongono, proiettati su simboliche figure di carta o fil di ferro, riprese video realizzate con fotocamere dagli obiettivi dipinti, fili di lana che si espandono nello spazio creando simbolici legami tra le opere. 
Quello che mi entusiasma di più è creare sul momento le installazioni, adattandole ai diversi luoghi dove esse vengono esposte. Di solito preparo in anticipo solo parte delle opere, come, in questo caso, le proiezioni, le sagome di cani e i disegni dei teschi per l’opera Tzompantli, ma poi assemblo e dà forma al tutto all’ultimo momento, modificando sempre le composizioni e creando nuove forme per sfruttare al meglio lo spazio".

L'opera Tzompantli al Museo Carà






























L’opera Tzompantli (foto sopra) è composta da grandi pagine di carta sulle quali Santiago ha disegnato a china trentadue teschi umani; le pagine sono unite tra loro da fili di lana rossa e creano delle righe orizzontali di fogli che riecheggiano la forma degli “Tzompantli”, ovvero delle strutture tipiche della cultura mesoamericana dove anticamente si appendevano i teschi dei prigionieri di guerra o delle vittime sacrificali. Sopra a questa parete di fogli dipinti viene proiettato il video dell’elettrocardiogramma dell’artista. 

In che stato d’animo ti trovavi quando hai registrato il tuo battito?
"La registrazione avvenne nel periodo subito successivo alla morte di mio padre. La proiezione del battito è, dunque, ancora una volta, simbolo vitale e mortale".

Anche il filo di lana rossa che accomuna tutte le opere di questa esposizione ha una valenza simbolica, è il fremito della vita, sottile e fragile. Come nell’opera che mostra, attaccata al soffitto, una sagoma canina in carta bianca, legata a vari fili di lana rossa che si congiungono verso il pavimento in un grande nodo. In questo lavoro qual'è il significato specifico del filo rosso?
“E' molto semplice e intuitivo: il cane sul soffitto rappresenta la morte e il filo rosso della vita lo tiene ancorato a terra”. 

Infine, in molte delle opere che Lucio Santiago ha realizzato per la mostra A’Nabaany, è presente l’immagine del teschio che, se da un lato è una figura già molto sfruttata nella storia dell’arte, qui, assieme alle altre simbologie utilizzate, non è semplice memento mori, ma assume un messaggio ancor più profondo, legato alla consapevolezza della necessità della morte per sperimentare la vita, in un eterno circolo naturale e spirituale.




(CB)


Guia Placeo, Lucio Santiago e Costanza Blaskovic 
all'inaugurazione della mostra.

domenica 16 marzo 2014

Comunicato stampa - Si inaugura venerdì 21 marzo presso l’ITIS Asp di via Pascoli a Trieste la mostra di pittura di Roberto del Frate, dal titolo “Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità.”


Negli spazi del piano terra dell’Itis Asp di Trieste si inaugura la mostra di pittura dell’artista Roberto del Frate, dal significativo titolo “Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità.”
L’allestimento presenta una selezione delle opere di Roberto del Frate rappresentative del nuovo corso creativo che pervade l’artista di origini veneziane. Un teoria di ritratti che si avventurano nella specificità dei singoli personaggi ritratti, tra il tratto grafico e una ispirazione cromatica pop, fino a riconciliarsi con la sua esperienza post impressionista dalle pennellate veloci e sovrapposte. Le contaminazioni espressioniste e simboliste rappresentano una ricca stratificazione che stravolge il mero ritratto di maniera dei soggetti inseriti in sfondi astratti o in scene di vita pulsante. Del Frate prosegue così la sua crescita artistica alla ricerca della sintesi tra tratto e colore combinando tecniche a olio, acrilici, matita e contaminazioni di digital art, analizzando e raccontando la sua personale visione dell’umanità.

Roberto Del Frate nasce il 31 Gennaio 1960 a Venezia. Dal padre pittore impara l’arte e l’amore per la pittura a olio, trascorrendo le sue giornate presso l’atelier situato presso il Palazzo delle Meravegie vicino all’Accademia delle belle Arti di Venezia. Risiede a lungo a Parigi dove dipinge bozzetti dal vivo in gran parte en plein air. Trascorre qualche anno anche a Bruxelles e Londra, ma nel 1990 apre il suo atelier a Venezia e partecipa a numerose mostre  nazionali e internazionali, riscuotendo ampio consenso per il suo raffinato cromatismo dalla sensibilità tonale. Date le collaborazioni con numerose gallerie veneziane che esportano i suoi quadri in tutto il mondo, specie in USA e Gran Bretagna. La sua anima freelance lo porta a lavorare per gallerie francesi e belghe e per arredatori statunitensi con opere di grandi dimensioni. Nel 2009 si innamora di Trieste e trasferisce il suo atelier nella città mitteleuropea dove dispone anche del suo show room.



ITIS Asp
Via G. Pascoli 31, 34129 Trieste
esposizione 22 marzo - 22 maggio 2014
Inaugurazione 21 marzo ore 18:00

Roberto del Frate – Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità
A cura di Peter Iancovich per Openupartgallery
informazioni +39 392 975 6467

venerdì 14 marzo 2014

12 marzo 2014 - Conclusione mostra Muse Interiori di Alessandra Spigai



Intervista di Costanza Blaskovic
nella foto: Alessandra Spigai intervistata da Costanza Blaskovic


Il 12 marzo si è conclusa la personale dell’artista Alessandra Spigai, Muse Interiori, presso la Sala Comunale d’Arte in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste, curata da Peter Iancovich per OpenUpArtGallery. 

Le sculture che sono state in mostra fino a l’altro ieri fanno parte di un progetto esposto al pubblico per la prima volta, la serie Muse Interiori, che ha come punto di partenza la ricerca e la trasposizione plastica delle sfumature dei moti dell’animo nella materia.
Non c’è da stupirsi se, durante i venti giorni nei quali le creazioni di Alessandra Spigai sono state esposte, spesso il pubblico sia tornato a osservarle più di una volta. Infatti, i volti e i corpi plasmati dall’artista possono rivelarsi differenti a ogni sguardo: la loro forma di comunicazione prevede il  lasciarsi osservare e, mediante una chimica sottile, legano l’osservatore alle ispirazioni che li hanno creati, evocando in esso emozioni e momenti interiori passati e presenti. 

Con l’occasione di questa personale, Alessandra Spigai ci ha svelato il suo modo di guardare alle sfaccettature della vita interiore dell’umano, tramite un genere di scultura pur figurativo, ma che trova parte della sua immediatezza nella forma, libera e istintiva. Le sue creazioni sono mosse da una forte espressività intrinseca, esacerbata da una polimatericità solo apparente. Le caratteristiche visive e tattili che l’artista conferisce alla materia di volta in volta fanno sì che le superfici si crepino, si rompano, si lacerino o divengano lisce, impalpabili e morbide, come se fossero composte da materiali ogni volta differenti. Invece, la base di partenza per le sculture di questa serie è in molti casi la stessa, la creta e il gesso, per lo più, ma è la vita, lo scorrere del tempo e delle emozioni sulla pelle che increspano o distendono le superfici e i momenti.

nella foto: Maria Campitelli commenta
la mostra di fronte alla scultura Àmōr
“La superficie della materia non è, però, il mio fine” - dice Alessandra Spigai che ha risposto alle mie domande con lo stesso entusiasmo e con lo stesso contagioso sorriso che ha riservato ai visitatori della sua esposizione. E continua: “La mia scultura è fortemente istintuale, perciò il mio obiettivo non è l’estetica delle creazioni. Ogni Musa qui in mostra ha una vita propria, una storia diversa ed è per questo motivo che esse appaiono diverse anche dal punto di vista estetico. Non faccio alcun disegno preparatorio né elaboro particolari ragionamenti prima di cominciare a scolpire, io lo faccio e basta”. Anche il nome della serie, Muse Interiori, è arrivato dopo, quando Alessandra Spigai si è accorta che le opere che aveva scolpito erano tutte espressioni dirette della sua interiorità. “Di solito comincio a scolpire prima di decidere o capire cosa sto creando ed è solo in seguito che scopro, all’interno della mia creazione, cosa il mio animo in quel momento voleva raccontare”. Le sculture di questa serie possono essere definite, in qualche modo, autobiografiche perché riportano tutte a dei momenti della vita dell’artista. “Vent’anni (che è una delle opere della mostra), per esempio, è stata creata in un momento in cui mi ritrovavo a stupirmi dell’energia, dell’inaspettata saggezza e, al contempo, della spensieratezza dei miei figli; ma è stato solo mentre la scolpivo che ho capito veramente a cosa si riferivano le forme che le mie mani stavano creando”.

Da come ti comporti in mezzo alle tue sculture, mentre le tocchi, le accarezzi, le abbracci, mi è parso che il tuo legame con esse sia fortissimo, questo rapporto si può definire un legame materno? “Sì, ho decisamente un rapporto materno con le mie sculture: le plasmo con l’amore della creazione. Mentre lavoro su di esse, a un certo punto, sento che sono pronte, che sono nate”. Alessandra Spigai mi racconta anche un avvenimento molto privato legato allo scolpire e alla sua maternità. La prima volta che si ritrovò ad appoggiare le mani su della creta per modellarla le affiorò un ricordo. In quell’occasione provò la stessa sensazione che ebbe quando, il giorno della nascita della sua seconda figlia, le prese la testa tra le mani e le toccò il viso, l’ossatura sotto la carne, percependone i volumi, per riconoscerla.

nella foto: visitatori davanti alla scultura Manolin
Artista eclettica, amante della sperimentazione anche in termini tecnici, Alessandra Spigai è approdata alla scultura in tempi piuttosto recenti. Precisamente, quando hai cominciato? 
“Un anno e mezzo fa. Poi, si è aperta una diga e ho creato moltissimo. La serie che è stata esposta in piazza Unità è soltanto una parte delle opere che ho realizzato in questo periodo di tempo”.
Per molti anni si era dedicata professionalmente alla grafica, alla pubblicità, all’editoria, al giornalismo e al web design. “Il mio percorso precedente alla scultura era legato alla scrittura. Ho scritto per molto tempo poesie visuali e racconti e già allora ad affascinarmi era la forma grafica delle parole. Poi mi sono avvicinata ai caratteri tipografici e alla carta fatta a mano, cercando sempre un contatto con i materiali, insomma, sperimentando sempre. Ho cominciato a raccogliere antichi caratteri tipografici in legno, ormai in disuso, e ho provato a utilizzarli all’interno di mie composizioni sfruttandoli non come supporto per la stampa, ma come oggetti decorativi autonomi. è così che ho cominciato a creare con le mani”. Poi, ha incontrato la scultura ed è stata una folgorazione.

Dato l’entusiasmo e l’impazienza che dimostra quando dice di avere l’urgenza di scolpire subito e ancora, è evidente che Alessandra Spigai sia ben decisa a continuare a indagare e sperimentare nell’ambito della scultura. Infatti, mi conferma: “Io devo continuare! è come se improvvisamente avessi capito che so volare. Prima non lo sapevo, ora lo so. Posso migliorare la tecnica, devo imparare come volare più in alto o più in basso, ma, soprattutto, ora devo capire quale sia il mio modo preferito di farlo. Certo è, che non posso più rinunciarci”. 

Le chiedo, poi, se abbia già progetti per il futuro: “Finita questa mostra dovrò occupare il mio tempo in maniera produttiva perché per restare in questo mondo devo continuare a esporre e, per farlo, dovrò creare nuove opere adatte alle occasioni che mi si presenteranno. Poiché lavoro in questo campo da poco tempo, non ho un archivio di opere create in precedenza pronte per essere esposte. Quindi, adesso, mi devo impegnare in questo senso e, siccome ho infinite possibilità di fare, proprio perché sono agli inizi, non ho che l’imbarazzo della scelta. Comunque, non vedo l’ora di creare ancora, sia opere che sono già nei piani, cioè opere che creerò in vista degli eventi futuri, sia sperimentazioni pure e libere”. 

Chiedo, infine, al curatore, Peter Iancovich, e all’artista se sono soddisfatti della mostra e della risposta del pubblico: Peter Iancovich si dichiara soddisfatto della riuscita globale della mostra, dell’affluenza e della risposta del pubblico che ha dimostrato di apprezzare non solo l’artista e il campo in cui essa sperimenta, ma anche l’allestimento, chiaro, essenziale e di facile fruizione. Tra i visitatori che in questi giorni hanno apprezzato l’esposizione ci sono stati anche vari artisti quali Ricardo Cinalli e Villi Bossi. 
Anche Alessandra Spigai si dichiara soddisfatta delle tantissime visite e degli incoraggiamenti ricevuti dal pubblico. Inoltre, afferma: “Per me questo è stato un vero e proprio debutto e averlo fatto nella piazza della mia città ha acquistato ancora più importanza. Certo, per farlo ho dovuto armarmi di coraggio poiché in precedenza non avevo avuto alcun tipo di esperienza simile e, dunque, è stata una bella sfida”.



(C. B.)

giovedì 6 marzo 2014

La dinamica eleganza delle Muse di Alessandra Spigai


Testo critico di Guia Placeo
Muse interiori | No more words

È una necessità viscerale quella che spinge Alessandra Spigai verso l’arte plastica in seguito ad un inquieto quanto eclettico iter artistico volto alla ricerca di una propria dimensione creativa, un percorso che attraverso diverse esperienze che spaziano dalla grafica al design, dalla scrittura alla fotografia, fino alle prime forme plastiche realizzate con vecchi caratteri tipografici (Type Objects), l’ha condotta, infine, alla concezione della serie di sculture Muse Interiori, esposte per la prima volta presso la Sala Comunale d’Arte di Piazza dell’Unità d’Italia a Trieste, in una personale curata da Peter Iancovich per OpenUpArtGallery. Paradossalmente in quest’artista la ricerca progressiva della tridimensionalità pone le sue radici nella bidimensionalità della parola scritta e, più nello specifico, in una particolare attrazione per la componente prettamente estetica della scrittura (la calligrafia e la tipografia), che l’ha condotta alla scoperta della tangibilità materica dei vecchi caratteri tipografici di legno che sono alla base delle sue prime opere plastiche. Ma l’epifania vera e propria ha luogo dinnanzi all’argilla, materia in cui Alessandra Spigai incontra il linguaggio più adatto a esprimere la propria inquietudine artistica, evidente nell’aspetto formale primordiale e immediato delle sue Muse Interiori. La totale libertà tecnica dell’artista è manifesta nel carattere istintivo e sperimentale della sua scultura, estraneo alla progettualità del disegno preparatorio ed espresso direttamente attraverso il materiale, nel quale Alessandra Spigai ricerca figure e volti densi di significato, atti a rappresentare il complesso prisma delle emozioni umane, con la volontà di indagare gli aspetti contraddittori dell’essere. Tale atteggiamento istintivo e naturale nei confronti della materia e il modus operandi dell’artista confluiscono nella vitalità di figure dinamiche e fluide, mutevoli e cangianti, talvolta poco definite, quasi forme in costante tramutazione, volubili quanto le emozioni di cui sono immagine e incostanti quanto l’animo umano di cui divengono rappresentazione. Se, per l’universalità delle tematiche che affrontano e per la classicità del linguaggio figurativo, tali immagini paiono protagoniste di una dimensione atemporale, al contempo è evidente il loro carattere essenzialmente contemporaneo, prorompente nel particolare connubio di colore e scultura, in cui la componente pittorica enfatizza il valore simbolico dell’opera caricandosi anch’essa di profondi significati. Protagoniste mute e inquiete di una rappresentazione dell’essere umano in tutta la sua eterogenea complessità emozionale, tali opere divengono riflesso di sentimenti diversi e contrastanti, che sfociano in atteggiamenti di violenta passione (Amor, Warrior), sottile disperazione (Invidia, No More Words) o profonda contemplazione (Grace, Want Chance). Uno dei temi che Alessandra Spigai predilige è l’infanzia, simbolo amaro di quella vitalità e di quell’innocenza che gradualmente abbandonano l’essere umano nel suo travagliato viaggio verso la maturità e che paiono sfuggire spesso anche ai fanciulli che essa rappresenta (Innocenza Perduta), ma se da un lato tali immagini evocano un certo malinconico pessimismo, la dinamicità energica e la varietà cromatica di Vent’Anni riconducono a quel senso di libertà proprio della giovinezza, ma anche della potenza creativa di ogni artista che ha saputo mantenere vivo dentro di sé il fanciullo che è stato. È un risultato notevole quello che Alessandra Spigai ha raggiunto con queste opere, dimostrando un’abilità tecnica che forse supera la sua conoscenza delle tecniche plastiche, se si considera quanto sia recente il suo accostarsi a questa forma espressiva. È il principio di un nuovo percorso artistico che non può che portare a ulteriori, sorprendenti traguardi.

(Marzo 2014)

(G.P.)