E nel contempo il tema si allarga all’infanzia, il frutto della procreazione, il bambino, con la sua fresca vitalità, l’innocenza che presto svanisce, quel bambino che l’artista insegue, tenta di riconoscere anche nell’adulto. E di bimbi ce n’è abbastanza in questa mostra, teneri come “Manolin”, o “Pin” che stranamente con un braccio gesticola nello spazio, la piccola mano tinta d’oro, mentre “Innocenza perduta” rappresenta una bimba già contaminata dalla polvere scura del mondo, il nero che dilaga nei capelli. Ecco Alessandra Spigai fa un uso particolare dei colori sulle statue, a valenza simbolica, e questo può essere un distinguo rispetto a modelli del passato, una libertà conforme ad una sensibilità attuale, come anche i titoli dipinti o impressi nella statua. E’ il caso della freschissima, direi rugiadosa, bimba di “Want chance” che guarda con sorridente curiosità sul mondo, dove il titolo scritto in oro attraversa le braccia nere, come il volto. Dunque un retaggio pittorico s’insinua a volte nel lavoro plastico che s’accampa nello spazio. Anche i caratteri di legno, della precedente esperienza, s’incastrano talvolta in un ritratto, come in “Regret”, in una sorta di sintesi di momenti espressivi e creativi diversi. Alessandra Spigai è certo attraversata da una prorompente volontà creativa, una pulsione incontenibile che deve in ogni caso uscire come nella sua opera “Terra”, quasi un geiser, un soffio d’energia che si sprigiona dalla madre terra. E’ questa propulsione creativa, oggi calata nell’atto scultoreo, che le fa sentire quell”altissima presunzione di onnipotenza” come lei stessa afferma, magica ed appagante, nel ricavare dalla materia, plasmandola, nuove forme/creature, nuovi segni coniugati con la vita.
(Febbraio 2014)
(P.I.)
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